Conversazione con Jesal Kapadia, Mattia Pellegrini e Giorgia Frisardi.
Una ricerca visuale sulla convergenza delle lotte e l’ecologia della cura accompagna il secondo capitolo di She has no land but she keeps sheep, opera-filmica di natura errante e imprevista che sarà proiettata venerdì 23 settembre durante il Festival 5 di DeriveApprodi – “Chi lavora è perduto” che si svolge a Bologna dal 22 al 25 settembre, in collaborazione con la libreria. Input e la rivista online «Machina» presso la Casa di Quartiere Scipione dal Ferro. Un viaggio tra la natura del Prospect Park di New York dove Jesal Kapadia e Silvia Federici si incontrano regolarmente, la foresta sacra di Assisi e la grotta in cui visse San Francesco, fino agli scorci boschivi delle montagne dell’Himalaya dove una comunità di monaci buddisti ha avviato uno sciopero della fame per impedire che la costruzione di una diga distruggesse la montagna sacra: così la resistenza delle popolazioni indigene contro l’espropriazione coloniale in America Latina, le insurrezioni contadine in India e in altre parti del Sud globale, insieme a quelle che vengono chiamate “sacrifice zones”, sono al centro del progetto, aree geografiche distrutte dall’inquinamento, dall’economia estrattivista e gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici e ambientali in atto, spesso abitate da minoranze e popolazioni subordinate che si trasformano in comunità resistenti e che lottano per affermare la giustizia sociale, la vita contro la sopraffazione dello sviluppo economico.
La crisi ecologica di cui l’emergenza pandemica è stata espressione, e i differenti gradi di vulnerabilità a questa emergenza, dipendono dalle diseguaglianze che passano attraverso le linee della classe, razza, della marginalità e del genere.
She has no land but she keeps sheep pone l’urgenza di politicizzare l’ecologia radicale e la cura nelle nostre società, che oggi coincide sempre di più con il dominio di corpi e territori, con il sacrificio di terre e vite; lo sfruttamento del lavoro produttivo e riproduttivo, del lavoro domestico e di cura imposto alle donne (invisibilizzato, subordinato, naturalizzato) è stato espropriato dal capitalismo insieme alla natura e alla biosfera, tanto quanto, in passato, hanno fatto la colonizzazione e la schiavitù, così da permettere all’Occidente di costruire la propria egemonia e accumulare le proprie ricchezze. Occorre mettere al centro della lotta femminista la riappropriazione della ricchezza sociale, intercettare alleanze e assemblaggi che possono aprire a conflittualità e spazi di convergenza politica, nella direzione immediatamente antagonista dei commons, in cui i processi di soggettivazione prendono forma e generano percorsi di resistenza e regimi comunitari: non separare la lotta contro il capitale dal problema della riproduzione delle nostre vite, dal controllo dei corpi.
Qui l’intervista: http://www.hotpotatoes.it/2022/09/21/she-has-no-land-but-she-keeps-sheep/