È uscito ERA SOLO UN RAGAZZO di GUIDO CELLI con SENSIBILI ALLE FOGLIE.
Un libro necessario per comprendere, per comprendersi.
Con introduzione di Nicola Valentino e un mio commento al margine.
Per info scrivere su agitazioni@gmail.com
“Trentasei canti compongono il poema che Guido Celli scrive per ri-significare a distanza di anni l’esperienza della propria vita familiare e in particolare la relazione con suo padre. Una relazione nella quale a ben vedere, qualunque sia la sua dinamica, chi diventa padre lo è per sempre e chi è figlio lo è giocoforza. Per come l’autore la racconta, questa relazione obbligata si sviluppa come un tragico corpo a corpo, fra un figlio bambino e un padre ragazzo, e sfugge a ogni riduzione definitoria. Il lettore sarà obbligato a destreggiarsi con i paradossi. L’autore si fa poeta per prendersi cura di un’esperienza riguardandola e raccontandola, per “provare a imparare il Mondo come in un racconto”, e la trasforma in conoscenza per tutti noi.”
(Dall’introduzione di Nicola Valentino)
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Commento al margine di Mattia Pellegrini
Necessario il coraggio per guardare indietro mentre già ci muoviamo in avanti,
coraggio nel gesto di chi racconta, si racconta e si fa raccontare.
Necessario il coraggio nell’affrontare apertamente ciò che ha inciso la carne,
coraggio nel muoversi all’interno del così vicino.
Era solo un ragazzo è il canto di un amico.
Se la forma di una lotta è la stile con cui se ne parla le prime domande che mi pongo sono chiare: che stile che lotta.
Non è certo il vittimismo che costituisce quest’opera. Non è certo il paradigma della vittima che costituisce un poeta.
La pedagogia dei padri, seppur in sfumature eternamente diverse, si posiziona ovunque su antica violenza: padre-figli, marito-moglie, fratello-sorella, compagno-compagna.
E il figlio che diviene padre, ancora e ancora.
È la famiglia nucleare, unità sociale. Il patriarcato che si è imposto sul fondo di fango di questo mondo.
Chi riesce a vedere il fango fa sì che anch’esso sia strumento di conflitto, sia parte della paideia.
Nel conflitto può accadere che il fango si mostri chiaramente come parte del corpo, non solo dell’altro ma del proprio corpo, una cesura profonda che inevitabilmente rompe la quiete.
Trovo in questo libro la forza per entrare in quel territorio.
La lotta che mi apre gli occhi è l’uso della poesia per avvicinarsi a quel concatenamento antico, che fa violenza su violenza che fa ripetizione senza differenza. E per rompere un concatenamento che è fisico, che ha le mani grosse, che è materia e materiale, per deviarlo ci vuole la durezza di un pensiero, il coraggio di una voce.
Per rompere il concatenamento antico bisogna metter paura alla paura e il linguaggio è una macchina da guerra. Il pensiero inscindibile dall’agire.
Il poema avanza per ripetizione che si fa differenza, l’incessante era solo un ragazzo suona come martello e tamburo ed ogni volta quel ragazzo era ed è già altro. Ragazzo che diviene ragazzo e non lo è più, e lo diviene ancora, muta e si trasforma non in un avanzare come linea ma saltellando sopra e sotto, dentro e fuori.
Padre-figlio figlio-padre amico-nemico ragazzo-ragazzo, sorella e madre.
Guido Celli è un pugile-poeta, un poeta-pugile: rapidità, sudore e violenza escon fuori con le parole. L’arena è quella della Roma più dura, più bella. La Roma che ha provato l’assalto al cielo in terra, la Roma rude razza pagana a cui la controrivoluzione degli anni ottanta ha inciso le sue più crudeli vendette. La Roma inondata di eroina.
Quello di Guido è un poema-metamorfosi, un poema a mille teste, una poema-pietra su un ricordo, sulla memoria di un tempo che non è più e che non si può replicare. Questo rifiuto della ripetizione senza differenza, questo passo in conflitto con la catena-storia antica, ce lo dice la ritmica feroce, la musica del verso almeno quanto il contenuto esterno delle parole.
Era solo un ragazzo va letto ad alta voce, perché riguarda tutti.
La letteratura, se letteratura è, non è mai cosa solamente personale. Può partire da un fatto propriamente proprio per dilagare nella vita, nei mondi, nelle storie dei molti. Non si delira sul proprio padre o sulla propria madre, come vorrebbe lo psicanalista-prete – oggi – capo di Stato, ma sul patriarcato, sulla Storia, la geografia, i naufragi, il deserto, i popoli vissuti e quelli ancora a venire.
In un presente dove tutto viene spettacolarizzato e messo a profitto Guido Celli sceglie la forma più inattuale del linguaggio, la poesia.
Poesia stato di crisi del linguaggio, poesia ciò che resta di una lingua morta, poesia potenza della parola che destituisce il linguaggio aprendo ad un altro uso della lingua e della vita.
In questa decisione, nella fragilità della sua forma, avviene la lacerazione che apre alla possibilità di un piano altro del ricordo, del sensibile, dell’esistere.
Un corpo a corpo, una traccia da seguire.